[Bisogna solo dire grazie a Piero che forse non rappresenta moltissimi dei suoi compagni di lavoro, i più talmente disperati da preferire di morire di cancro domani anzichè di fame oggi (concetto ricorrente negli articoli dedicati al tema) ma ci tocca il cuore con le sue lacrime e con i suoi semplici e stringenti argomenti.. ndr]
E l’operaio
prese la parola per chiedere scusa ai malati
TARANTO - «Da operaio dell’Ilva chiedo scusa ai bambini del quartiere
Tamburi, agli ammalati. E penso ai morti di tumore». Cala il silenzio a piazza
Gesù Divin Lavoratore, in cielo solo un cenno d’imbrunire. Piero, operaio
dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, prende la parola durante
l’assemblea del comitato di operai e cittadini «liberi e pensanti», il giorno
dopo il blitz della grande fuga sindacale dal palco di piazza della Vittoria. E
in piazza della Vittoria, ieri mattina, il raduno degli ambientalisti che hanno
incoraggiato la magistratura impegnata con il Riesame del provvedimento di
seuqestro dell’area a caldo Ilva e con gli arresti eccellenti della dirigenza
siderurgica. Piazza Gesù Divin Lavoratore, la piazza simbolo della città
operaia, col Cristo delle ciminiere troneggiante sull’altare della chiesa,
simbolo di un patto tra fabbrica e città corroso da gas e polveri e che pure
costringe a vivere da separati in casa, chissà poi per quanto ancora.
«Nel mio piccolo - attacca Piero di fronte a un centinaio di persone radunatesi
alle sette di sera in piazza e circondate da un imponente schieramento di forze
dell’ordine - mi sento di chiedere scusa a chi ora soffre e vive una condizione
di malattia legata all’inquinamento. E chiedo scusa perché ho contribuito a
inquinare». Gli uomini che guadagnano da anni il pane in fabbrica aprono le
porte di se stessi e sembra di vedere dentro di loro, dentro il loro cuore, il
dubbio, l’angoscia, la necessità, quasi esplosa all’improvviso, di guardare in
faccia gli altri, i propri concittadini, di raccontarsi e raccontare una
fabbrica chiusa finora in se stessa.
«La politica ha gravi responsabilità - dice ancora Piero al microfono, nella
sua narrazione che è storia a precipizio lungo un ripido crinale - perché non
ha messo i paletti alle aziende dell’a re a industriale: Ilva, Eni, Cementir;
per evitare l’inquinamento al quartiere Tamburi, a Statte, a Paolo VI, nel
centro della città. La mia azienda dice: abbiamo investito miliardi per
abbattere l’inquinamento. E allora perché si scende in piazza? Perché i Tamburi
sono ancora un quartiere martoriato?».
La voce di Piero s’incrina e le lacrime cominciano a scendere sul viso come le
prime ombre della sera al quartiere Tamburi. Poco lontano da qui un altro
operaio, Peppino Corisi, in due lapidi, aprì e chiuse la parentesi di operaio
ambientalista, iscrivendo la propria tragedia personale e quella di un popolo:
la maledizione per le polveri «per chi poteva fare e non ha fatto» e il suo
personale testamento a futura memoria per «l’ennesimo morto» di tumore a
polmone.
L’ennesimo, un numero. Il numero e l’operaio, la diluizione acida di
un’identità di classe che solo un riscatto di coscienza, ambientale e non
ambientalista, può mutare. Piero torna a identificarsi con la piazza, le sue
lacrime trascinano l’applauso. Certo facile, in questi giorni; inevitabile. Ma
solo un mese fa impossibile, una bestemmia. «Ho famiglia, due figli. Uno
stipendio di 1400 euro e 750 euro di mutuo da pagare. Per quello che sta
accadendo penso con più rabbia alla politica. Doveva fermare l’inquinamento. E
penso con rabbia ai sindacati. Loro avrebbero dovuto dire per primi che si
doveva fermare l’inquinamento. Invece oggi mi ritrovo a pensare a chi lavora le
cozze, al mare così inquinato, al posto di lavoro perso. E mi sento in colpa».
Piero conclude mentre la sera avvolge nuvole e ciminiere. Piega un attimo la
testa, trattiene il fiato e trova la forza per guardare la piazza, quegli occhi
nei quali cerca sguardi e pensieri uguali al suo dolore: «Chi pagherà
l’inquinamento a Taranto? Lo Stato e le aziende. È l’ora in cui la politica e
le industrie si prendano la loro responsabilità. Risarcire Taranto. Chiederlo
per i malati, i bambini, per chi vive in questa città». La piazza applaude.
Piero non smette di piangere. Poi si riprende e si mescola di nuovo alla folla,
quasi avesse bisogno del suo calore, del suo abbraccio protettivo. Sembra
compiuta una specie di Apocalisse d’acciaio. Tante le strette di mano, tanti
gli incoraggiamenti dei «liberi e pensanti». Per sentirsi meno solo, in una
sera d’agosto al quartiere Tamburi, a Piero può bastare. [fulvio colucci,
gazzetta del mezzogiorno 4/8/2012]
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dall'ordinanza
di sequestro del GIP:
“Chi gestiva e gestisce l’Ilva ha continuato in tale
attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto,
calpestando le più elementari regole di sicurezza”
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