Prevenire è meglio che curare..
Scritto da Redazione   
sabato 09 febbraio 2008

La chemio mi nega la vita...  una domanda al prof. Veronesi

Un ammalato di tumore scrisse al quotidiano "la Reppubblica", la lettera che riproduciamo. Alcuni medici ne hanno tratto spunto per scrivere a loro volta delle considerazioni in risposta, riproduciamo anche questa seconda lettera.... può darsi che venga pubblicata su "la Repubblica" anche questa, chissà...

Caro direttore,

vorrei rivolgere attraverso il suogiornale una domanda al professor Umberto Veronesi. Ma
prima devo raccontare la mia storia. La prima volta vevo otto anni. Arrivavo a Milano dalla Sardegna dopo aver subìto un intervento al collo. Primo taglio chirurgico per asportare un grappolo di linfonodi ingrossati. Non è normale che i linfonodi s'ingrossino, non fa parte del loro lavoro? Questi bisognava "sgonfiarli", non era necessario aprirmi il collo, rovinare i muscoli, ma a Sassari non lo sapevano.

La seconda volta mi aprirono la pancia, a Milano, esplorarono bene l' addome, mi tolsero la milza e
richiusero. La prima volta? Sì, la prima volta che vidi in una bacinella delle grandi siringhe, forse 5,
con del liquido dentro, qualcuno colorato. Mi legarono un laccio al braccino, infilarono un ago, la
farfallina o butterfly verde, e vidi questo liquido entrare piano piano nella mia piccola vena. Non passò tanto tempo e iniziai ad avere una strana sensazione di nausea, non ebbi il tempo di capire perché arrivò il primo rigetto. L' indomani mattina mi risvegliai con dei fortissimi dolori alla pancia e alle costole. Un esercito nemico era entrato dentro di me e mi aveva massacrato. Mi spiegarono poi che si trattava di un esercito amico.

Seguirono altre "incursioni amiche", altri massacri, sconfitte, vittorie, non capivo più niente, ma in quei momenti desideravo solo morire. A 8 anni. Era la chemioterapia. Era la sola terapia che potesse guarirmi in quel momento. Non bastava. Un altro "esercito amico" doveva intervenire per sterminare il nemico, una folla di cellule impazzite che volevano insediarsi con forza nel mio organismo. Era la radioterapia. Curare per curare? Curare per ammalare?
Fine del combattimento. Si torna a casa, nella mia bella isola a godermi la vittoria. Niente da fare.
Torna il nemico, una seconda volta, torna "l' esercito amico", tornano quindi le siringhe, la nausea, i dolori. Fine del combattimento. Il nemico è passato?«Dietro la collina non c' è più nessuno». Maledizione, torna una terza volta, e poi una quarta volta! L' esercito amico si chiama sempre "chemioterapia", "radioterapia", non più nausea, ma la continua sensazione che dentro di te stia avvenendo un massacro.

Passano gli anni e 32 sono tanti, per dieci sto bene,penso sia rimasto solo un brutto ricordo, anche se la devastazione psico-fisica ha lasciato il segno permanente. Troppo bello per essere vero, i miracoli sono rari. Una radiografia al torace segnala un' ombra sulla pleura, segue una Tac, segue una toracoscopia, segue un referto: mesotelioma pleurico. Probabile che uno degli "eserciti amici", in altre parole la radioterapia, ovvero le radiazioni di 30 anni fa, abbiamo lasciato impresso sulla mia pleura un segnale, piccolo, cresciuto nel tempo. Non è un linfoma, peggio! Che fare? Si richiama "l' esercito amico", più soldatini armati, più chemio. Devastante, nauseante, un incubo. Non è quella giusta. La situazione è stabilizzata. Aspettiamo dicono i medici. Se dovessi ricominciare a fare la terapia, sarà ancora chemio, pensate, più forte, più tossica di quella che facevo 32 anni fa. Sono i passi da gigante che ha fatto la ricerca. Decine e decine di anni per capire come
funziona una cellula tumorale. Si è capito? Credo di sì. Da anni si parla dei cosiddetti farmaci intelligenti, che colpiscono selettivamente solo le cellule impazzite lasciando indenni quelle sane. Se esiste una terapia intelligente si abbina alla chemioterapia.

Il professor Veronesi dice: basta col curare per ammalare. Abbiamo un problema: la chemioterapia è sempre tossica, nei prossimi anni ci dedicheremo allo studio delle terapie intelligenti. Mi chiedo: le case farmaceutiche sono veramente disposte ad abbandonare la produzione di chemioterapia? I pazienti saranno ancora disposti a sopportarla? Vedo tanta gente che scappa. Caro professor Veronesi, ci dica come stanno veramente le cose. Perché non è giusto fare tutti i giorni a pugni con la vita. Perché non è giusto che chi ama la vita, non riesca mai a incontrarla. Perché non è giusto che un bambino di 8 anni desideri morire.

Graziano Cortes

NON È QUESTA LA STRADA

Interveniamo nel dibattito suscitato dalla lettera pubblicata su La Repubblica del 18 dicembre 2007
nella quale un giovane uomo racconta la sua odissea contro il cancro, incontrato all’età di soli 8 anni, e si rivolge al più noto degli oncologi italiani con domande che non possono lasciare indifferenti: “Perché la chemio mi nega la vita… ci dica Prof. come stanno le cose… Perché non è giusto fare tutti i giorni a pugni con la vita. Perché non è giusto che chi ama la vita non riesca mai ad incontrarla. Perché non è giusto che un bambino di 8 anni desideri morire”
Questa lettera ci ha profondamente colpiti. Il prof. Veronesi, cui la lettera era rivolta, non ha
mancato di rispondere con il consueto garbo, la serietà e l’ottimismo che lo contraddistinguono ma a nostro avviso ha affrontato solo un aspetto del problema, una sola faccia della medaglia: quella della ricerca di terapie sempre più personalizzate, “intelligenti” ed innovative che possano debellare
questa malattia.  Anche noi siamo medici, molti di noi oncologi, altri pediatri, epidemiologi, specialisti nella medicina preventiva ed esperti in materia di ambiente e salute ma siamo da tempo convinti che la scelta di puntare tutto (ricerca e risorse) su una medicina orientata
pressoché esclusivamente alla cura, sempre più specialistica ed esasperatamente spostata verso le
nuove tecnologie diagnostiche e terapeutiche non possa conseguire dei buoni risultati se non affiancata da una seria ricerca volta ad identificare i fattori che provocano il cancro (molti di questi, peraltro, sono già ampiamente conosciuti) e a rimuoverli.

Questo significa essere capaci di inserire la malattia e l’ammalato nel contesto ambientale, socio-economico e lavorativo ed essere consapevoli che, come è noto, solo allontanando i fattori di
rischio e/o diminuendo l’esposizione ad essi si può diminuire l’incidenza delle malattie. Migliorando la capacità di diagnosi precoce e di cura possiamo in alcuni casi ottenere la guarigione e ridurre la mortalità ma non possiamo impedire che la malattia si manifesti. Quanto poi questo tipo di medicina, nonostante i successi ottenuti nella cura delle malattie gravi, rischi di far perdere di vista la persona umana nella sua totalità è un rischio altrettante grave e oggetto
di attenzione nel mondo medico e scientifico. Prevenire le malattie è alla lunga molto più molto
vantaggioso anche economicamente, è noto infatti che oggi le maggiori spese del sistema sanitario sono da attribuire alla cura delle malattie croniche, dove le terapie per il cancro incidono in maniera
determinante.
Senza ovviamente voler in alcun modo mettere in secondo piano la sofferenza degli ammalati e delle loro famiglie ben descritta nella lettera che ci indotti a scrivere queste note.
Peraltro sull’insostenibilità economica di un SSN sempre più impegnato nell’acquisto e nell’utilizzo di tecnologie sempre più costose, che si susseguono a ritmo incalzante e che le aziende produttrici
suggestivamente propongono nelle assise e nei convegni medici, convergono ormai i pareri dei più illustri economisti.

Anche i Piani della prevenzione che vengono promossi a livello nazionale non affrontano il problema del ruolo etiologico dei fattori ambientali e dell’associazione tra fattori di rischio e grado dello stato di salute ma si limitano a intervenire sui comportamenti dei singoli individui, come l’abitudine al fumo o a bere alcolici o le abitudini alimentari, senza considerare due importanti fattori:  il primo è che, come è noto, errati stili di vita sono in larga parte il risultato delle politiche sociali, economiche e culturali. Queste attualmente tracciano nel nostro Paese modelli comportamentali prevalenti che penetrano profondamente la società civile, condizionando il tempo delle persone, l’organizzazione delle famiglie e l’inserimento lavorativo.
Il secondo è che limitarsi a campagne educative senza tener conto di tutti i fattori ambientali in gioco potrebbe paradossalmente aumentare l’incidenza di quei comportamenti che vorremmo prevenire, creare una colpevolizzazione del singolo individuo e medicalizzare al contempo tutti gli stili di vita. D’altra parte il ruolo dei fattori ambientali sul
determinarsi del cancro è stato sempre più documentato negli ultimi anni e molti di questi studi riguardano i tumori dei bambini, in aumento negli ultimi anni e senza che questo possa essere spiegato unicamente con il miglioramento della capacità diagnostica (dai dati di Lancet e dell’European Journal of Cancer l’incremento dei tumori infantili negli ultimi 30 anni è stato in media dell’1% annuo).

La strada da seguire sarebbe semplice, moltissimi cancerogeni sono noti eppure continuano ad essere utilizzati e/o prodotti in ambienti di lavoro e di vita, basti pensare agli idrocarburi policiclici
aromatici, alle diossine, alle amine aromatiche ect.; anche l’inquinamento ambientale delle nostre città indotto dal traffico potrebbe essere ridotto se solo si perseguissero politiche serie mirate a ridurre il numero delle automobili e a favorire la ciclabilità e la pedonabilità in sicurezza anziché le tasse sull’inquinamento o i blocchi estemporanei che non hanno alcun effetto duraturo.
Senza pensare alla possibilità di adottare il Principio di precauzione di fronte alle incertezze scientifiche, per cui sarebbe bastato ad es. chiedere ai gestori della telefonia cellulare di dimostrare
l’innocuità dei telefoni cellulari prima di affidarne uno a tutti i bambini.
In questo caso come spesso succede gli interessi economici sono stati anteposti a quelli della tutela
della salute. Si potrebbe obiettare che ciascuno è libero di scegliere se comprare un cellulare o meno ma altrettanto si potrebbe obiettare che nessuno ha imposto ai gestori di inserire nelle migliaia di spot destinati soprattutto ai giovanissimi utenti informazioni circa i possibili rischi per la salute.
Di conseguenza il cancro sembra essere diventato una sorta di ineluttabile prezzo che il nostro tempo deve pagare al “progresso”, per il quale prima o poi comunque troveremo la cura giusta, pur sapendo benissimo che la medicina ha registrato i suoi più grandi successi quando sono state debellate le cause delle malattie.
Tomatis definiva questo atteggiamento come “la Grande Distrazione” “..una follia riduzionista sembrava essersi impossessata della mente di gran parte dei ricercatori”… “ogni laboratorio doveva scegliersi … il suo gene”… “ma il ricercatore va a caccia della proteina alterata, senza più domandarsi il perché di quel danno…” e la Prevenzione Primaria del cancro come “una corsa ad ostacoli, in cui l’identificazione di un agente fisico o chimico come cancerogeno viene troppo spesso vista con scetticismo se non con aperta ostilità; alcune sostanze sono ritenute cancerogene in
alcuni paesi e non in altri e quando riconosciute i limiti consentiti variano da paese a paese, come se il loro effetto cancerogeno potesse modificarsi passandoi confini”.
Eppure è evidente che soltanto la Prevenzione Primaria sarebbe in grado di difendere tutti: ricchi e poveri, giovani ed anziani.
Come medici crediamo che nella lotta contro il cancro, così come contro tutte le malattie
cronico-degenerative, il termine “prevenzione primaria” non vada confuso con quello di “diagnosi
precoce”, che è un’altra cosa e che è importantissima per favorire la cura e a volte anche la guarigione dal cancro, né si possa imboccare una strada a senso unico, quella della sola terapia, identificando il successo della cura con la cronicizzazione dellamalattia e non con la sua scomparsa.

Federico Balestreri (Cremona)
Stefano Beccastrini (Arezzo)
Michelangiolo Bolognini (Pistoia)
Ernesto Burgio (Palermo)
Pietro Carideo (Caserta)
Giuseppe Comella (Napoli)
Mariano Dimonte (Lecce)
Muller Fabbri (Forlì)
Antonio Faggioli (Bologna)
Paolo Franceschi (Savona)
Bruno Franco Novelletto (Padova)
Mario Frusi (Cuneo)
Gianluca Garetti (Firenze)
Valerio Gennaro ( Genova)
Patrizia Gentilini (Forlì)
Giovanni Ghirga (Civitavecchia)
Angelo Goglia (Ascoli Piceno)
Stefano Gotti (Forlì)
Manrico Guerra (Parma)
Ferdinando Laghi (Castrovillari)
Paolo Lauriola (Modena)
Angelo Gino Levis (Padova)
Antonella Litta (Viterbo)
Antonio Marfella (Napoli)
Vincenzo Migaleddu (Sassari)
Giuseppe Miserotti (Piacenza)
Eduardo Missoni (Ginevra)
Marco Lege (Ivrea)
Celestino Panizza (Brescia)
Maria Grazia Petronio (Pisa)
Giancarlo Pizza (Bologna)
Giancarlo Rasconi (Ferrara)
Ruggero Ridolfi (Forlì)
Gaetano Rivezzi (Caserta)
Roberto Romizi (Arezzo)
Pier Luigi Tucci (Firenze)
Giovanni Vantaggi (Gubbio)
Mariangela Vigotti (Pisa)

Commenti
Dove si può leggere la risposta di Veronesi?
scritto da ipPaolo, febbraio 10, 2008

Qualcuno per cortesia può indicarmi un link dove si può leggere la risposta di Veronesi?
Grazie


busy
Ultimo aggiornamento ( lunedì 11 febbraio 2008 )